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"Dalle Pagine alle Creazioni di Derek Gores, Folle Genio"


La mente, così come le tele, è pulita. Quando arriva allora l’ispirazione? Nell’angolo estremo della stanza ci sono pile di giornali. Tutto d’un tratto una pagina emerge dalle altre e si forma come un bozzolo, che contiene il principio del processo creativo. La mente e le mani si mettono allora a lavorare insieme per creare un capolavoro.

Lasciate che vi presenti Derek Gores, artista di fama internazionale. Mi sono procurata un biglietto per il suo spettacolo e ora mi metto comoda. Il suo successo è grande. Con la sua esperienza è arrivato a conoscere bene il mercato e i suoi clienti, e da’ loro esattamente ciò che vogliono.

Ha anche sviluppato una strategia commerciale ad hoc che gli permette di lavorare contemporaneamente con tutti i suoi brands preferiti. Quando gli chiedo “Come sei arrivato a lavorare con tutti questi brands: Playboy, Kentucky Derby, TLC e Tag Heuer?” lui semplicemente risponde “Li ho chiamati e ho detto loro la mia visione”. Comincio a sentire la consistenza setosa del bozzolo formarsi in me e mi immergo nel processo creativo di questo folle genio. L’orchestra è pronta e il direttore sta prendendo il suo posto sul palco. Sedetevi comodi, ascoltate attentamente e celebrate il capolavoro che prende forma.


courtesy of Derek Gores

Come comincia il processo creativo? Come porti la tua visione dall’inizio alla fine attraverso l’uso del ritaglio?

La scintilla può arrivare da qualsiasi cosa. Un colore, una posa, perfino uno stralcio di testo su un pezzo di carta che può suggerire un titolo. Ma solitamente, per i miei collages inizio dai servizi fotografici (realizzati da me o commissionati ad altri), con protagonisti una modella, uno spazio o un oggetto. Li modifico poi digitalmente, giocando con i colori. Ogni tanto aggiungo anche i testi di canzoni che sto ascoltando in quel momento, o schizzi di un vecchio giocattolo della mia infanzia o di una chitarra, o la mappa di un posto che ho a cuore. Ricopro una tela di pagine di giornale e poi, con colori acrilici e pennelli piuttosto scadenti, mischio forme e colori in modo casuale, secondo l’ispirazione del momento. Taglio o strappo, senza ordine e precisione, quelle parti di servizio fotografico che avevo modificato digitalmente, e incollo i pezzi sulla tela. Procedo per strati, aggiungendo sempre nuovi elementi trovati tra le pagine dei giornali e dei magazines. Poi faccio un passo indietro e cerco il punto giusto da cui osservare: è un punto di equilibrio delicato, da cui l’opera d’arte è riconoscibile nel suo insieme ma allo stesso tempo risulta piacevolmente confusa. Lavoro molto velocemente, e su più tele nello stesso momento, proprio perchè mi piace essere fuori controllo. Alla fine di tutto il processo aggiungo la vernice anti-UV e la tela è pronta per essere appesa. Solitamente creo il titolo mescolando parole che trovo accidentalmente sull’opera d’arte finita.


Come dev’essere l’ambiente intorno a te mentre lavori? Lavori in solitudine, chiuso dentro lo studio, o ti piace la vita? Cosa ti serve per lavorare?

La mia vita sembra essa stessa un collage, che mette insieme così tante ispirazioni diverse per cercare di arrivare infine a qualcosa di nuovo. Prima di mettermi a lavoro cerco una buona atmosfera, incontro altri artisti, mi informo su quello che stanno facendo, assaporo la sensazione del sole, mi immergo nella natura. Le buone idee arrivano sempre quando sono distratto. Il mio lavoro tende a procedere ad ondate, perchè richiede un momento specifico e energia mentale in abbondanza. Una volta che comincio ad incollare e strappare, posso andare avanti per giorni interi senza fermarmi. Intorno a me ho molte idee-a-metà, mezze possibilità che aspettano solo il momento giusto per realizzarsi. Il mazzo di carte di Brian Eno per esempio, gli stemmi sul cofano di vecchie auto, disegni fatti con i bambini, oggetti smussati, forme realizzate con il nastro adesivo sul pavimento, qualche tavolo vuoto su cui lavorare, tutte idee che vorrei sviluppare prima o poi. Lavoro meglio quando ogni cosa è al suo posto prima che arrivi io e cominci a creare di nuovo disordine. Ho una parete ricoperta di magazines e alcuni contenitori ordinati in base a colori caldi, colori freddi, bianco e nero, e un posto speciale per i metalli ovviamente. Mi piace la musica ambient quando lavoro, roba senza testo o beats, perchè mi apre la mente.


courtesy of Derek Gores

Come scegli il soggetto per una tua opera? Qual’è il soggetto che preferisci esaltare nei tuoi lavori? La moda? Gli animali? Le farfalle?

Il soggetto principale, che sia trattato direttamente o indirettamente, è la figura, l’essere vivente, la donna forte. Anche quando rappresento una farfalla, una natura morta surreale o un paesaggio, comunque penso ad essi come parte del mondo di questa donna immaginaria. E’ il mio supereroe femminile; indipendente, saggia, che non ha paura di esprimere se stessa, rappresentata con il massimo rispetto. Sempre presente in me. Il più delle volte non è qualcuno che conosci, non è una celebrità.


Cosa si prova a realizzare la tua arte? Cos’è il collage?

E’ la mia droga psichedelica! Quando ero più giovane l’obbiettivo dell’arte stava per me tutto nella resa finale. Avevo un’idea in mente e il 99% del tempo era esecuzione, creazione. Ora, con il collage, ogni nuovo stralcio che raccolgo aggiunge qualcosa di nuovo ad una storia che è li davanti a me, è come un’esperienza Zen. L’opera finale può cambiare completamente anche con l’ultimo pezzettino aggiunto. E’ improvvisazione, ed è fantastico provare ad orchestrare tutto questo.

Quando cominciai la mia ricerca in belle arti, riflettevo molto sulla mia coscienza figurativa, perchè volevo rapportarmi agli esempi dei miei eroi, artisticamente parlando. Egon Schiele e Gustave Klimt hanno portato linee vivaci e composizioni astratte e drammatiche nell’arte figurativa 100 anni fa. A mio parere, la fotografia moderna è ancora basata sulla loro estetica. Mi sono sentito grato quando ho realizzato che il caos del collage poteva essere la mia forma frenetica di espressione. Il motivo per cui i magazine sono il mio medium ideale è proprio questo: perchè sono usa e getta, perchè sono pieni di cose commerciali e rimani sorpreso quando i contenuti sono rimodellati e creano qualcosa di potenzialmente immortale, com’è l’arte. Un materiale umile con cui chiunque può giocare.


courtesy of Derek Gores

Cosa facevi prima di interessarti alle belle arti?

Dopo il RISD (Rhode Island School of Design) ho lavorato nel settore musicale e realizzavo magliette e poster per le bands. Greatful Dead, U2, Van Helen, Depeche Mode e Madonna. Mi piaceva la sfida di dover creare qualcosa di visivo che però corrispondesse alla musica, una sorta di traduzione sensoriale. Poi ho lavorato diversi anni nel settore sportivo, per i grandi campionati.


Come sei arrivato a collaborare con tanti brands nel tuo lavoro? Qual’è stato il tuo percorso e la strategia che hai seguito per farti commissionare lavori da nomi così importanti?

Dopo anni di produzione di pubblicità commerciali, volevo tenermi alla larga dai lavori commissionati per un bel po’. Sapevo che prima dovevo trovare il mio stile creativo personale. E così ho fatto. Ho sperimentato, creato spettacoli destinati a me stesso soltanto, con un assortimento selvaggio di esperienze in settori diversi, e ho trovato ciò che più faceva felici i miei sensi e le mie mani. Solo alla fine alcuni brands hanno iniziato a cercarmi, per il mio stile, per i miei lavori. I primi che ricordo sono stati Kentucky Derby, Cosmopolitan Las Vegas e Nick Knight per SHOW Studio. Con lui è stato molto divertente - Nick mi chiese di creare qualcosa lasciandomi ispirare dalla Fashion Week di Milano. Così ho dato la prima occhiata a Prada, DSquared2 e Salvatore Ferragamo. Ora adoro questo tipo di lavoro, se mi piace il brand e i suoi valori. Direi che metà delle mie collaborazioni sono nate perchè i brands mi hanno cercato (come il caso della cover di Playboy realizzata in tributo a Hugh Hefner) e metà perchè li ho cercati io. Non ne parlo mai molto, ma amo le collaborazioni, quindi dico sempre di sì.


courtesy of Derek Gores

Credi ci siano dei pregiudizi nei confronti del successo di artisti commerciali, che si discostano dall’idea dell’artista sofferente e incompreso?

Probabilmente. Alcuni la pensano in questo modo. Ma se ha avuto successo Warhol, e se i Beatles sono usati nelle pubblicità dell’iPod, allora può andare bene anche a me. Io comunque sono un tipo da opere non finite. Non mi interessa che le mie tele piacciano a tutti. Mi serve solo un equo rapporto 1 a 1, tra arte e amante dell’arte.


Come scegli dove esporre i tuoi lavori? E come li vendi? A che tipo di audience ti rivolgi?

Se c’è una cosa che ho imparato nei primi anni nel mondo del lavoro è che ognuno è responsabile della sua fortuna, quindi non sto ad aspettare che le gallerie mi espongano. Espongono anche in gallerie, certo, ma le mixo con eventi e luoghi d’esposizione non convenzionali. Siccome uso i magazines di moda come primo elemento della mia arte, mi piace giocare in quel settore e creare rappresentazioni ed eventi interattivi direttamente dalle passerelle.

Per quanto riguarda il marketing, penso ad esso come ad un mezzo attraverso cui raccontare la mia storia, condividere i miei valori e ciò a cui tengo. Ho provato cose diverse, dalle cartoline fino alle newsletters, passando per note scritte a mano e pagine di giornale strappate. Sono saltato da esposizioni d’arte ad esporre in boutiques, e ho anche partecipato a fiere dedicate. Probabilmente ciò che preferisco sono le dimostrazioni live, dove incontro le persone e loro possono guardare come avviene il processo di creazione. Partecipare, anche solo da osservatore, alla creazione di un’opera d’arte ti da un sentimento speciale, che ti porta indietro all’infanzia. Ed è una cosa positiva, sia per il singolo individuo che per un brand. Vincono tutti.


courtesy of Derek Gores

Credi che la tua infanzia, dove sei cresciuto o l’educazione che hai ricevuto, abbia in qualche modo influenzato la tua arte di oggi? Sei cresciuto nell’East Coast e ti sei trasferito in Florida che eri ancora un bambino: come credi che questo abbia influito sull’artista che sei oggi?

Assolutamente! In New England ho imparato ad apprezzare la storia, e l’armonia con la natura. Ero piccolo, ma ancora ricordo il vialetto d’ingresso in ardesia e mio padre che tagliava l’erba e si occupava di giardinaggio ogni fine settimana. E in Florida poi, ho vissuto sulla Space Coast. Li la cultura è fantastica, un mix incredibile tra la grandissima esperienza che ha portato l’uomo sulla Luna e la cultura pop dei surfisti. Il fatto è che la Space Coast è composta di gente affamata, non ancora definita rigidamente come in altre parti della nazione. Io e i miei amici tiravamo avanti immaginando il futuro.


Hai conquistato molti traguardi. Qual’è la tua collaborazione dei sogni e come pensi di realizzarla?

Sogni? Ok: Lady Gaga e Julianne Moore vestite in Tom Ford. Insieme a David Bowie su una Lamborghini decappottabile. Mentre vanno al Met Gala per presentare “Sentirsi (sur)reali”, uno show dove compaio anche io, mentre realizzo un collage con una mano e con l’altra sorseggio un bicchiere di Bombay Sapphire. Tutto questo in un fantastico video musicale di Lady Gaga. Come posso fare perchè ciò accada? Dovremmo chiedere al mio pubblicitario.


courtesy of Derek Gores

Possiamo oggi, in un mondo in cui le opportunità e le ispirazioni intorno a noi sono migliaia, pensare alla figura dell’artista vivente di successo? Abbiamo sempre pensato all’artista come ad una persona sofferente, che sacrifica tutto per la sua arte. Che nella maggior parte dei casi viene scoperta e valutata solo molti anni dopo la morte dell’artista stesso. Chiedo a Derek “Il mondo è un parco giochi per l’artista, come decidi ciò in cui investire il tuo tempo?” e lui mi risponde “Ci sono così tante possibilità nell’arte, sia come artista che come collezionista. Ma generalmente, per un collezionista, se un artista è implacabilmente appassionato, impossibile da fermare, prolifico…può essere un buon artista, qualcuno i cui lavori potrebbero essere un buon investimento. Io dico sempre che bisogna andare dove ci porta il cuore”.


Scritto in inglese da Alys Jackman

Tradotto da Giulia Greco


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