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“I vestiti sono moderni?”: è la domanda che Christian Dior pone in apertura della sua sfilata Haute Couture. Su un abito bianco, semplice, lungo fino ai piedi e chiuso in vita da una corda, in una versione moderna dello stile dell’antica Grecia - che è l’emblema di un’estetica che non si è mai persa nel tempo e che rimane attuale. Non è moderna, è classica. Così come classico era lo stile che Bernard Rudovsky preferiva: architetto e storico americano, Rudovsky si è sempre interessato al controverso mondo della moda, ed è stata la guida spirituale del lavoro dietro alla collezione.
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La collezione che segue è composta principalmente di abiti neri, con qualche elemento grigio, argento e oro. Semplice, sia nelle forme che nei colori, sono una specie di tela intonsa su cui scrivere. Sono i dettagli infatti a stravolgere completamente i look finali, trasformando ciò che è classico e imperituro in qualcosa di estremamente moderno e di tendenza. Sono dettagli fragili, che sbocciano dai tessuti strutturati. Pizzo, su collant e mantelle; piume, nere e lunghe ma anche di un prezioso verde petrolio; velette di rete, che rendono ogni modella una sorta di sposa. Le scarpe sono principalmente sandali alla schiava o stiletto neri; i gioielli, in oro e perle, danno un tocco tribale ma elegante - un tema che Maria Grazia Chiuri sembra privilegiare moltissimo negli ultimi tempi.
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Accanto all’idea di abito come tela bianca su cui scrivere e ogni volta ricrearsi, la collezione gravita attorno all’idea di architettura e al suo rapporto con la moda. Gli “abiti” sono la nostra prima protezione contro il mondo esterno, sono la realtà in cui “abitiamo”, per l’appunto. Non a caso l’ultima modella della sfilata non indossa altro che una rappresentazione in cartone di 30 avenue Montaigne, il fulcro dell’attività di Dior. Ma anche tutti i look precedenti sono formati da abiti protettivi, molto rigidi e strutturati. Architettonici.
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Words by Giulia Greco
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