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C’è qualcosa che Pier Paolo Piccioli non possa immaginare? Arriverà il momento in cui la fantasia si esaurirà e non ci sarà più un livello successivo da raggiungere? Ogni sua sfilata, uomo o donna che sia, sposta l’asta un po’ più su e fa venire i brividi l’altezza che ha già raggiunto.
In questa sfilata c’è tutto: ci sono i colori perfetti, c’è la cura al dettaglio, c’è la voglia di divertirsi, c’è soprattutto l’orgoglio della maestria artigiana. Piccioli sa a chi dire grazie se i suoi sogni (e anche un po’ i nostri in realtà) diventano realtà.
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Gli abiti sono come al solito una visione in fatto di colori e tessuti. C’è una forte influenza tribale, che si vede chiaramente negli accessori, come i copricapi, le frange di lana grossa su cappotti e abiti e le stampe. Gli orecchini poi, sono pendenti lunghissimi e preziosi, che fanno sognare i territori sconfinati di altri continenti.
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La vera forza di Valentino è la capacità di parlare di inclusività e di farlo in modo leggero. Non è una polemica, non punta il dito verso fatti e persone, non urla ad alta voce le proprie ragioni. E’ l’inclusività educata e acculturata, molto naturale, di chi guarda al diverso e lo rende proprio.
Così sulla passerella si sono susseguiti abiti molto diversi tra loro: cappe magnificamente ricamate, abiti in taffetà, gonne in mohair e pellicce azzurre. Ogni outfit è a se stante, racconta una storia diversa, ha il profumo di culture differenti. Eppure ognuno di essi si lega agli altri in un insieme armonico che fa sperare ad un futuro migliore.
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Words by Giulia Greco
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